• Rabelais e le avventure dei Gastrolatri
  • La salsa di pesce dei Sibariti
  • McRosa. Il fast food più trendy dell’estate
  • I mostaccioli di Soriano (…o di Seminara?)
  • Offerta famiglie
  • Spaghetto d’autore
  • Banchetto dei sensi
  • Acquasale o capunata

Breve storia del pane

Ampiamente diffusa è la tesi egizia dell’origine della panificazione e del lievito, risalente a circa 18 secoli prima dell’era cristiana nonché dei primi mulini e del setaccio. In virtù dei contatti stretti con gli Egiziani, la cultura del pane era filtrata anche in altri popoli, come l’ebraico. Lo attesta una serie di passi biblici e quando si parla dell’istituzione della Pasqua, si fa specifico riferimento all’obbligo di consumare pane azzimo, conoscendosi, quindi, l’uso del lievito, sia durante la fuga dall’Egitto che in occasione della sua ricorrenza annuale.

Per questo «Il popolo portò via la sua pasta prima che fosse lievitata; avvolse le sue madie ne’ suoi vestiti e se li mise sulle spalle» (Es. 12-34); per questo gli israeliti cossero durante il viaggio «la pasta che avevano portato dall’Egitto e ne fecero delle focacce azzime; poiché, la pasta non era lievitata essendo essi stati cacciati […] senza poter rinunciare e senza potersi prendere provvisioni di sorta» Diversa la tesi sostenuta da alcuni, come Erodoto, che nelle Storie parla di un’origine più antica e leggendaria. «Prima che Psammetico regnasse su di loro, gli Egiziani si ritenevano i più antichi di tutti gli uomini.Ma da quando Psammetico, divenuto re, volle sapere chi fossero i più antichi, da allora ritengono che i Frigi siano più antichi di loro e loro più antichi degli altri. Poiché Psammetico, pur facendo ricerche, non riusciva a scoprire nessun mezzo per sapere chi fossero i più antichi tra gli uomini, escogitò questo espediente: diede ad un pastore due neonati, di gente presa a caso: doveva portarli presso il suo gregge ed allevarli lì nel modo seguente: con l’ordine che davanti a loro nessuno pronunziasse mai una parola: che se ne stessero da soli in una capanna isolata: che al momento giusto il pastore portasse loro le capre, li saziasse di latte e si occupasse del resto. Psammetico fece e ordinò cosi volendo ascoltare quale parola avrebbero emessa per prima, una volta abbandonati i confusi balbettii. E questo avvenne. Infatti, quando furono passati due anni che il pastore si comportava così, mentre apriva la porta ed entrava, entrambi i bambini gli si gettarono ai piedi e pronunciarono bekos tendendo le mani. La prima volta che sentì questa parola, il pastore stette zitto: ma poiché spesso, quando andava e si occupava di loro, la parola ricorreva frequente, lo rivelò al padrone, e su ordine del padrone, portò i bambini al suo cospetto. Ascoltatatili anch’egli, Psammetico face ricerche su quali uomini chiamassero qualcosa bekos; facendo queste ricerche, scoprì che i Frigi chiamavano bekos il pane.

In tal modo gli Egizi, valutando anche in base a questa circostanza, ammisero che i Frigi erano più antichi di loro. A prescindere da tutto, certa è l’altissima considerazione del pane in ambiente greco.

Nell’Odissea così si descrive Polifemo: «Era un mostro gigante, e non somigliava a un uomo mangiatore di pane, ma a un picco selvoso d’eccelsi monti che appare isolato dagli altri». Proprio degli uomini e simbolo della loro condizione sono, dunque, la sua produzione e il suo consumo e ad un greco, Crisippo di Thiana, si deve il primo trattato di panificazione Artopükon (da àrtos, pane e poìco fare, creare), databile attorno al 240 a.C. Del primato greco fu sostenitore anche Plinio il Vecchio: «Cerere trovò il frumento,mentre prima si viveva di ghiande. Lei stessa insegnò a macinare e fare in Attica e in Sicilia, per questo fu tenuta per dea».

Ai Greci si devono, in ogni caso, i primi forni pubblici, ma la cottura avveniva anche sotto la cenere, sulla brace o pietre calde, in un recipiente di terracotta o di metallo; nonché le prime associazioni di panificatori; l’inizio della produzione notturna del pane; la creazione, sempre secondo Crisippo, di 72 diversi tipi del diffusissimo alimento, utilizzando un’ampia gamma di ingredienti, spezie e aromi: latte, olio, miele, pepe, uova, grasso, uva secca, ecc. Il pane accedeva anche alla dimensione religiosa (in occasione dei Misteri di Dioniso Bassareo si ponevano nella “cista mistica” focacce di sesamo e papavero, focacce a piramide, sferiche, rotonde, forate, grumi di sale, melagrane, rami di fico, nartece, edera, oltre che un serpente) e magica, oltre che alla mitica.

Artemidoro di Daldi, autore nel II sec. d.C. di un trattato in 5 libri: Oneirocriticon (La spiegazione dei sogni), interpreta come buon segno il pane quotidiano ordinario mangiato nei sogni, in particolare quello d’orzo, primo nutrimento donato dagli dei agli uomini, cattivo il pane dei ricchi nei sogni dei poveri, perché indizio di probabile malattia, così come quelli di granai e depositi di frumento in rovina.

Anche oggi, in Calabria, a distanza di circa venti secoli, nell’interpretazione popolare dei sogni la presenza di pane guasto di farina di grano e granone è considerata presagio di disgrazie prossime venture.

Scrive Plinio il Vecchio che in origine i romani si cibavano di polenta (puls) di farro o grano: «Pulte non pane vixisse lungo tempore Romans». A suo dire le tecniche di panificazione si svilupparono a partire dal II sec a.C., vale a dire all’epoca delle Guerre macedoniche e tradizione consolidata vuole che al ritorno nell’Urbe, dopo la vittoria, fornai e panettieri catturati seguissero le truppe. In quel tempo graecus diventò sinonimo di pistor, cioè fornaio e comuni alle greche furono le tecniche di cottura. Alla stessa epoca risalirebbe la scoperta del lievito, per cui è probabile che in età repubblicana il pane fosse azzimo. Tra i diversi tipi di pane, alcuni di pretta derivazione greca, «era modesto il pane» che veniva distribuito fra i cittadini come forma di sussidio, dietro esibizione di apposito contrassegno (tessera): veniva detto panis civilis o panis cibarius. Nel palazzo dell’imperatore si mangiava invece il panis palatinus. Ai soldati veniva dato il panis castrensis, ai naviganti il manticus, ai plebei il plebeius, ai contadini il rusticus, agli schiavi il sordidus.

Rinomato era il panis siligineus, impastato con le migliori specie di farina di grano, la siligo: Plinio descrive «il pane che è morbido e bianco come la neve, impastato con la miglior farina » (panis tener et niveus mod lique siligine factus). Orazio alle parole di lode per il pane che aveva assaggiato alla mensa di Mecenate, raffinata e splendida.

Sempre in ambito romano, Vitruvio inventò il mulino ad acqua; nel 168 a.C. fu aperto il primo forno pubblico e al tempo di Augusto nella sola Roma se ne contavano più di 300. Nella stessa città fu istituito, verso il 147 a.C. il collegio dei fornai-mugnai (pistores, in latino, dal momento che in origine ottenevano la farina pestando i chicchi dei cereali nei mortai) soggetto a regole severe come l’obbligo di vendere i prodotti a prezzo calmierato e il divieto di cedere i propri beni, perché la miseria non spingesse a sofisticare l’alimento principale della dieta quotidiana; ma nel contempo gratificato da vari privilegi come l’esenzione del pagamento dei pesi fiscali e il riconoscimento di un ruolo sociale rilevante, dal momento che ne erano esclusi schiavi e servi.

Il monumento sepolcrale del fornaio Marco Virgilio Eurisace, di sua moglie e dei suoi aiutanti, contiguo alla romana Porta maggiore, è eloquente testimone dei notevoli traguardi, anche economici, raggiunti dalla categoria.

Quanto al cristianesimo, la vicenda è gravida di significati simbolici, a cominciare dal luogo di nascita delMessia, Betlèm, che in ebraico significa “Casa del pane”; passando al Pater Noster, la preghiera insegnata dagli apostoli, in cui s’invoca la divinità per il pane quotidiano, concludendo con l’eucarestia:«Io sono il pane di vita. I vostri padri mangiarono la manna nel deserto e morirono. Questo è il pane disceso dal cielo, affinchéchi ne mangia non muoia […]. Se qualcuno mangerà di questo pane, vivrà eternamente, e

il pane che darò è la mia carne per la vita del mondo».

Si tratta, evidentemente, non di pane in ottica realistica,ma simbolica: da alimento primo della vita materiale ad alimento primo di quella spirituale. Il cristianesimo – scrive Matvejevic – ha dato al pane nuovi significati: gli ha conferito un carattere non solo sacro, ma addirittura divino. Nel medioevo leggi severissime proteggono i mulini e i fornai era consentito produrre pane solo dopo lunghi tirocini e il giuramento di farlo garantendo quantità e qualità.

Scrive Braudel che «soltanto fra il 1750 e il 1850 avviene la vera rivoluzione del pane bianco. Allora il frumento si sostituisce agli altri cereali (così in Inghilterra), e in seguito il pane viene impastato con farine sempre più vigilate dal cruschello.

Al tempo stesso si diffonde l’opinione che soltanto il pane, alimento fermentato, si addice alla salute dei consumatori; mentre «in Francia, dove presto comincia la rivoluzione del pane bianco,viene fondata nel 1780 una scuola nazionale di panetteria, e il soldato napoleonico sarà poco dopo il diffusore attraverso l’Europa di questo bene prezioso, il pane bianco».

 

Brano tratto da Il brigante di carta e parole di Ottavio Cavalcanti