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Bruegel e l’utopia del Paese di Cuccagna

Una celebre tela di Bruegel – Il paese della cuccagna (Monaco, Alte Pinakothek) – rinvia a una tradizione folklorica ben documentata nell’Europa medievale e moderna, nella quale le ansie e i timori collettivi per la penuria di beni alimentari, così come la realtà ricorrente delle carestie, vengono sublimati in un’utopia popolare che diventa – l’espressione è di Vito Teti – “Carnevale realizzato”. Gli antecedenti letterari si trovano già nel mondo antico, come accade nella Vera storia di Luciano di Samosata in cui si descrivono viti che producono grappoli dodici volte l’anno, spighe di grano che danno direttamente il pane, centinaia di fontane d’acqua e di miele, sette fiumi di latte e otto di vino. Ma è nel Medioevo che tale mito acquisisce una più corposa sostanza, documentata, tra l’altro, in un fabliau del XIII secolo dove si racconta che in quel paese «le case vi son fatte di pesci, di salsicce e d’altre cose ghiotte. Le oche grasse si vanno avvolgendo per le vie, arrostendosi da se stesse, accompagnate dalla bianca agliata, e vi son tavole sempre imbandite d’ogni vivanda, a cui ognuno può assidersi liberamente, e mangiare di ciò che meglio gli aggrada, senza mai pagare un quattrino di scotto». Se ne ha un’ulteriore testimonianza esemplare nel Decameron di Giovanni Boccaccio (VIII, 3), nel momento in cui si evoca una contrada chiamata Bengodi intessuta di vigne che si legavano con le salsicce e «avevasi un’oca a denajo e un papero per giunta»: «Et eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e ravioli, e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gettavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva. E ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciol d’acqua». Ancora più fantasiosa e succulenta è, forse, la descrizione che di questo leggendario paese si trova nelle lettere di Andrea Calmo, scritte a cavallo tra la prima e la seconda metà del XVI secolo, la medesima epoca della tela di Bruegel: «[…]

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Haveva i terrazzi de marzapan, le porte de torte, el sofitao de nomboli, le camere con lietiere de pignocae, lentioli di fugazzete, coltre di pele di capone, cussini de colombieri arrosto, i travi di lonza de vedelo, la napa de frutaia fratesca, i caviani de cascacavalli, le casse di biscoteli, la taola de canela confeà […]. In corte pò dò fontane, che sorze continuamente vin dolce e malvasia, i fosai a torno via acqua riosa e per goti croste de pan fresco senza molena». Di tale robusta tradizione, di cui si sono indicati alcuni segnavia, dovette certamente risentire un autore come Bruegel, particolarmente attento alle culture popolari europee. La tela qui in parola rappresenta, in un clima fiabesco, tre uomini (un intellettuale, un contadino e un cavaliere) sdraiati sazi e intorpiditi ai piedi di un albero che esibisce, attorno al tronco, una tavola imbandita. Non lontano, uno scudiero veglia sul loro riposo al di sotto di un tetto ricoperto di focacce, elemento che ricorre in Bruegel anche nei Proverbi fiamminghi del 1559 come simbolo dell’abbondanza e dello spreco. Altri elementi, nel quadro, rinviano all’eccesso del cibo, anche in funzione di una critica moraleggiante verso il suo consumo smodato: un’oca viva simboleggia il peccatore ostinato, un maiale attraversa la scena con un coltello infilato sotto la cotenna, un uovo dal guscio aperto, che si muove con zampe di pulcino, vuole alludere, probabilmente, all’insaziabile gola dei tre personaggi raffigurati, «sottolineata dalla presenza del coltello dimenticato nel tentativo di consumare anche quell’uovo troppo vecchio» (S. MALAGUZZI, Il cibo e la tavola, Milano, Mondadori – Electa, 2006). Prima che il mito del paese di Cuccagna cominci ad avviarsi sulla via del tramonto – individuato da Piero Camporesi nel XVII secolo – prima che esso si trasformi da utopia popolare in «Cuccagna aristocratica» simile a un banchetto rinascimentale, le tele di Bruegel “traducono” ancora sul piano figurativo le tensioni sociali e le ansie collettive dei ceti subalterni della precedente fase della storia d’Europa.

Tonino Ceravolo, Storico, saggista