Se nel cenone della vigilia di Natale, la Vigilia per eccellenza, c’è un dogma è che la cucina debba essere rigorosamente di magro. Il Bambinello non può essere atteso cibandosi del grasso carnascialesco, di frattaglie e carni nobili di maiale o di saporito vitello. Un altro dogma, almeno nelle culture gastronomiche popolari, è che i cibi debbano essere numericamente ben identificati e sempre in numero dispari, in genere tredici o nove, a seconda delle aree geografiche di riferimento. Soprattutto è un tripudio di dolci, da consumare a fine pasto: sussumelle glassate con zucchero o cioccolato, torroni d’arachidi o di mandorle o di pistacchi affogati nel miele, cicerate e pignolate, chiacchere e zeppole, fichi secchi con le noci, pitte ‘nchiuse. Eppure non è stato sempre così, né dappertutto si portano in tavola le medesime pietanze. Insieme con cibi consumati anche ai nostri giorni, nell’Europa prima delle scoperte geografiche Natale era una festa anche di cibi per noi inconsueti: «Gli storici ci informano che durante i giorni di festa si consumava carne di maiale affumicata, del buon fegato spalmato su fette di pane tostato e fatto raffreddare, polli, oche, capponi […]. Sulla tavola dei ricchi si trovavano anche aironi e cicogne, cigni e pavoni […]. Il consumo di queste carni “degne di eroi”, squisite secondo le cronache, implicava che si facesse un voto. Quante vane promesse, crociate e dichiarazioni di fedeltà si devono essere disperse al vento» (L. Moulin, L’Europa a tavola. Introduzione a una psicosociologia delle abitudini alimentari, Mondadori, 1993). Lo stesso Moulin ricorda come il Natale sia in Europa dimostrazione, al tempo stesso, di unitarietà di usi alimentari e di evidente diversità. Nella Scandinavia il cenone di Capodanno è occasione di abbondanza alimentare quasi sfrenata: enormi quantità di anatre e maiali arrosto, merluzzo marinato nella calce e seccato al sole, prosciutti al cavolo rosso, l’oca farcita di mele o prugne secche «che secondo i danesi, noti per il loro appetito pantagruelico, è troppo grossa per una persona sola e troppo piccola per due». Sempre in Danimarca «le patate sono lessate nello zucchero caramellato misto a burro e sono accompagnate dalla tipica acquavit, oltre che da vino, birra e punch». Un punch, in particolare, è un’autentica “bomba” energetica: «Miscuglio esplosivo di vino rosso secco, vino moscato, vermut, angostura, uvetta tritata, aromatizzato con cardamomo, chiodi di garofano, zenzero e cannella; è servito caldo con alcune mandorle». Altrove, è il caso della Polonia, il magro torna a trionfare. Le portate principali sono costituite da una minestra di barbabietole e funghi e dal pesce: luccio lessato servito con panna acida oppure una «carpa alla giudea in agrodolce con uva e mandorle». In Francia spostandosi di regione mutano i cibi dominanti: nel Poitou pollame e cacciagione, nell’Armagnac lo stufato, in Alsazia fegato d’oca e crauti. In questa caratteristica varietà, il cibo rimane il “filo rosso” che attraversa l’Europa delle feste natalizie, una vera e propria “liturgia sociale”, secondo la definizione di Moulin, che affianca e accompagna l’altra liturgia, quella religiosa consacrata a celebrare l’avvento di Gesù bambino.
Tonino Ceravolo, Storico, saggista