Non risalgono a molto tempo addietro le polemiche intorno alla scoperta, in diversi paesi europei, di carne equina in alcuni prodotti dell’industria alimentare. Uno scandalo che occupò le pagine di quotidiani e settimanali per molte settimane e che, da un differente punto di vista, fece venire alla luce anche alcuni tabù legati al cibo a seconda delle aree geografiche di riferimento. Secondo il settimanale “Panorama”, quanto era accaduto in Europa non sarebbe potuto avvenire negli Stati Uniti perché lì la proibizione al consumo di carne di cavallo è talmente radicata da potersi considerare, appunto, come una forma di tabuizzazione: “«Cameriere c’è un cavallo nelle mie lasagne?»: scherza così il Daily Beast , per sdrammatizzare quello che Oltreoceano non poteva che chiamarsi horsegate, lo scandalo della carne di cavallo. È infatti arrivata anche negli Stati Uniti l’eco dei ritrovamenti di carne equina non dichiarata nei prodotti di note multinazionali […]. Ma la reazione in America è stata ed è totalmente differente rispetto all’Europa. Non fosse altro perché qui mangiare carne di cavallo è una sorta di tabù. […] Basti pensare che negli Usa la carne di cavallo è letteralmente sparita dal mercato di massa dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando veniva considerata un sostituto di quella bovina, che scarseggiava. Ancora oggi, però, in alcuni Stati è persino vietato servire nei ristoranti carne equina. È il caso della California, dove a decidere per l’eliminazione della carne di cavallo è stato un referendum nel 1998. Lo stesso vale anche in Oklahoma e nel Mississippi, in Texas non si può vendere carne equina, ma la si può macellare, mentre nell’Illinois la si macella, ma solo per venderla all’estero. […] Insomma, lo scandalo della carne di cavallo negli Usa non sarebbe mai accaduto, non fosse altro perché in America non si mangia carne di cavallo […]. Ma perché tanta reticenza nei confronti dell’ippofagia? Da un lato resiste l’idea che questo animale sia un pet, un animale a cui affezionarsi, dunque suona come un’eresia l’idea di mangiarlo, un po’ come se si trattasse di un cane. Dall’altra per molti, soprattutto negli Stati del sud, i cavalli rappresentano ancora un mezzo di spostamento all’interno delle proprie campagne (come lo erano ai tempi del Far West), o vengono utilizzati nei numerosi maneggi. Insomma, il cavallo nell’immaginario collettivo rappresenta un simbolo delle radici americane”. Ma, se si guarda alla questione secondo una prospettiva storica, ci si accorge che l’ippofagia non è un dato costante della storia europea, qualcosa caratterizzato da una lunghissima durata, poiché, intorno alle fine dell’Alto Medioevo e nei primi secoli dell’epoca successiva, anche in Europa nutrirsi di carne equina era considerato inammissibile, come testimonia, per citare due esempi, tanto la proibizione al suo uso alimentare voluta da papa Gregorio nell’VIII secolo quanto una delle mirabilie riportate da Gervasio di Tilbury nei suoi “Otia imperialia”. Composti nel secondo decennio del XIII secolo, gli “Otia”, che hanno conosciuto, nel tempo, diverse edizioni, integrali o parziali, tra cui quella curata da G. W. Leibniz e pubblicata ad Hannover nel 1707, possono considerarsi, per quanto riguarda la loro terza parte, una sorta di grande repertorio enciclopedico di “meraviglie” medievali, con racconti di lunghezza variabile nei quali si discute dell’immagine di Cristo a Edessa così come della reliquia del suo prepuzio, degli uomini-scimmia ma anche di lamie, draghi e fantasmi. Il paragrafo numero 100 è dedicato alla storia di un “uomo ospitale” e di quello che accadde per evitare di incorrere nel tabù della consumazione della carne equina: “Se qualcuno vuole scoprire quanti meriti si possono conseguire con l’ospitalità ascolti questa storia straordinaria e meravigliosa, per non dire miracolosa. In un regno del vostro Impero c’era un cavaliere valente, ospitale e munifico, disposto ad accogliere tutti con generosità e desideroso di provvedere al bene della propria famiglia. Quando arrivò l’inizio del digiuno quaresimale, che il popolo chiama carniprivio, il cavaliere, a corto di provviste, si ritrovò a non avere nulla da imbandire per la mensa di un’occasione così solenne, in cui si è soliti consumare un ricco banchetto: ordinò quindi in segreto ad un suo famiglio di macellare un buon cavallo che possedeva e di farlo cuocere in pezzi al posto della carne di bue. Il domestico obbedì in segreto agli ordini e quando l’indomani lo scudiero, ritornando da fuori, volle pulire e, come di consueto, strigliare il cavallo, il padrone, che temeva che l’accaduto venisse divulgato, quanto più a lungo poté cercò, allontanandolo con richieste pretestuose, di impedirgli l’accesso alla stalla. Alla fine lo scudiero sentì nitrire il cavallo e, entrando, lo portò fuori sano e salvo al cospetto di tutti” (Gervasio di Tilbury, Il libro delle meraviglie, Pacini Editore, 2009). Le considerazioni che potrebbero derivare dall’analogia culturale tra il remoto Medioevo europeo e gli Stati Uniti di oggi esulano, purtroppo, dai limiti di spazio di un breve post.
Di Tonino Ceravolo, Storico, saggista