L’invenzione della tradizione è il titolo di un noto libro di Eric J. Hobsbawm e Terence Ranger (trad. it. Einaudi, Torino, 1987) nel quale, a partire da alcuni case study, si fa vedere come la presupposta antichità di talune tradizioni sia, in realtà, il risultato di una storia recente e, nel medesimo tempo, il prodotto di una “costruzione” sociale che può avere la finalità di stabilire la coesione di gruppi e comunità, di legittimare istituzioni e gerarchie, di “socializzare” credenze e usi all’interno di determinate “famiglie” umane. Pochi campi dell’agire degli uomini sembrano sfuggire a processi analoghi e, certamente, non si sottraggono alla rubrica delle “tradizioni inventate” le consuetudini alimentari e le manifestazioni che hanno a che fare con il cibo. Basti pensare all’esempio, notevole, criticamente più volte affrontato da Vito Teti da una prospettiva antropologica, della dieta mediterranea, che, presentata con i caratteri della specificità autoctona e, di conseguenza, come un sistema tradizionale, si rivela, a ben vedere, come l’esito di una “americanizzazione” ab origine dei comportamenti alimentari. I pomodori e il peperoncino, solitamente pensati e proposti come prodotti meridionali e mediterranei, associati a piatti della “tradizione”, contrassegnati con il marchio della tipicità, derivano da una vicenda plurisecolare che ha avuto il proprio inizio oltreoceano. Non solo, ma quelli che sono presentati come modelli diffusi, popolari, appannaggio anche dei ceti subalterni si rivelano, in realtà, come modelli “ideali”, ai quali spesso non corrisponde alcuna effettualità storica: «Nelle formulazioni più ingenue e approssimative – scrive Vito Teti (si veda Il colore del cibo. Geografia, mito e realtà dell’alimentazione mediterranea, Meltemi, Roma, 1999) – la dieta mediterranea appare un’invenzione culinaria postmoderna in cui confluiscono elementi eterogenei, prelevati da diversi contesti geografici, ambientali “tradizionali”, non di rado esterni allo stesso mondo mediterraneo. Anche in ambito nutrizionista viene presentato come “tipicamente mediterraneo” un regime alimentare a base di cereali, con una quota bassa di prodotti di origine animale, con olio di oliva come principale condimento e una notevole presenza di pesce fresco e paste. Ma anche in questo caso d’invenzione, come è stato dimostrato da numerose indagini, il modello, l’ideale alimentare non corrisponde alla realtà di nessuna area geografica del mediterraneo. […] La “trinità mediterranea” (l’olio di oliva, il pane di frumento e il vino), resta un’eredità pesante, che caratterizza, però, soprattutto la cucina dei ceti benestanti e i sogni e i desideri dei ceti popolari. La pasta, ad eccezione di quella fatta in casa soltanto nelle feste e in occasioni straordinarie, appare ancora un genere di lusso e il pesce fresco, per ragioni di trasporto, arriva raramente nelle zone interne ed eccezionalmente sulla tavola dei contadini». Come si vede, a fronte delle moderne ideologie alimentari, dei contemporanei regimi dietetici astoricamente presentati come “popolari”, ce n’è abbastanza per problematizzare proprio quel modello che si vorrebbe, in una certa maniera, “eterno”, connaturato da sempre alla vita quotidiana delle popolazioni del Sud e, per questo, anche più naturale. Un modello che, invece, è storia e del quale vanno riconosciuti i caratteri di “invenzione”.
Di Tonino Ceravolo, Storico, saggista (Libri di Tonino Ceravolo)