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Tempo di funghi

Accanto alle castagne e alle noci, il più tipico prodotto autunnale del suolo sono i rinomatissimi funghi, avidamente inseguiti da torme di cercatori sui monti della Sila, delle Serre e dell’Aspromonte. A scorrere l’elenco delle molte varietà commestibili è quasi una festa di nomi noti e meno noti, fantasiosi, talvolta di non semplice decifrazione: c’è il porcino classico (Boletus edulis), il boleto dei pini, il porcino nero, il boleto appendicolato, l’ovulo mangereccio (Amanita cesarea) dallo sfavillante cappello arancione, la gallinella, il galluzzello, il gruppo affollato dei chiodini, la mazza di tamburo, il rosito, l’ordinato, lu fungiu di petra, la birritta di previti, la sponza, la colombina rossa, lu ‘nguditu (Ygrophorus pudorinus). I funghi rinviano ad una cucina, al tempo stesso, ricca (in particolare di sapori) e povera, pur se i calabresi spesso li collegano nei modi di dire soprattutto ad una storia di povertà, di privazioni, di necessità. Nell’area delle Serre essi vengono definiti la carni di li poveri per fissarne il carattere di sostituti di grado inferiore della carne vera. Ma per alcune specie si dice pure che sono miegghiu di la carni, perché della carne, se non hanno il valore nutritivo, possiedono la consistenza, la solidità, la callosità. I funghi, negli usi alimentari quotidiani, sono un cibo versatile: si consumano freschi e conservati, crudi e cotti, tagliati a fettine sottili e interi, incantarati e ammazzarati sotto sale, sott’olio e sott’aceto, essiccati al sole. Alcuni elementi della tradizione gastronomica locale è possibile leggerli nelle pagine degli scrittori: «Gli arditi affettati, infarinati e fritti, tirati su dall’olio bollente dorati e croccanti – segnala Sharo Gambino – Oppure cotti in tortiera insieme alle patate a tocchetti e pezzettini di pomodori verdi sotto uno straticello di pangrattato e una manciatina di prezzemolo; la gallinella […] dopo averne rotta con la bollitura la persistente callosità, finita di cuocere tra pomodori pelati, cipolla […] e foglie di basilico […], ma non da sola, le faccio tenere compagnia dall’acidulo galluzzello (in italiano finferlo), col quale si sposa divinamente ed anche dal rosito quando ho voglia di consumarlo, quest’ultimo, in modo diverso dal consueto, che sarebbe di adagiarlo sulla brace e offrirgli il destro, con un pizzichino impercettibile di sale, di cavar fuori gemendo, quel sughetto di cui è avarissimo, sufficiente appena ad inumidirti la lingua […]». Una cucina semplice e goduriosa, legata al territorio e alle stagioni, nella migliore tradizione degli scrittori-gourmet.

di Tonino Ceravolo, scrittore, saggista